Caffeina
Una
molecola usata anche in cosmetica
Uso
Sistemico e Topico
autori: Silvia Masin e Marco Puppoli - 4^Chimica
- ITIS Natta - Padova
INTRODUZIONE
La caffeina è la sostanza alcaloide contenuta nei chicchi di
caffè. E’ molto simile alla teobromina, la sostanza alcaloide contenuta
nel cacao, e alla teofillina, l’alcaloide delle foglie di tè.
(Qui
dovreste vedere i modelli tridimensionali delle molecole, se vedete solo dei riquadri
vuoti, allora non avete installato Chime 2.6.
Per risolvere il problema andate
a Chimica al Computer)
Questi tre alcaloidi, molto diffusi nel mondo vegetale, vengono chiamati xantine perché hanno una struttura molecolare che si può pensare derivata dalla xantina. Il termine xantina deriva dal greco xanthos, che significa giallo.
.
La
caffeina, la teobromina e la teofillina sono xantine legate a gruppi metilici
e quindi vengono denominate metil-xantine.
La caffeina è 1,3,7-trimetil-xantina,
la teobromina è 3,7-dimetil-xantina, la teofillina è 1,3-dimetil-xantina.
La caffeina è poco solubile in acqua, alcol, etere e acetone. E’ molto
solubile in cloroformio, acetato di etile e tetraidrofurano. In soluzione acquosa
ha pH neutro, i suoi cristalli sono bianchi, inodori, con sapore amaro e hanno
punto di fusione tra 234 e 239°C.
FARMACOCINETICA
E METABOLISMO
La caffeina viene ben assorbita per via orale, con
un picco plasmatico massimo dopo 120 minuti. Si distribuisce rapidamente su tutti
i tessuti, attraversando la barriera ematoencefalica e la placenta. Può
essere presente nel latte materno e quindi particolari precauzioni devono essere
prese in caso di gravidanza ed allattamento.
L’assunzione di 100 mg di caffeina
porta a concentrazioni plasmatiche comprese tra 1,5 e 1,8 m g/ml.
L’eliminazione
della caffeina dall’organismo avviene dopo metabolizzazione epatica con produzione
di acido 1-metilurico, 1-metilaxantina e 7-metilxantina.
Circa il 10% viene
eliminato sempre per via renale come caffeina immodificata. Principale responsabile
del metabolismo della caffeina è il pool enzimatico del citocromo p-450
A2 di cui le cellule epatiche sono particolarmente ricche. L’emivita della caffeina
è di 2,5 – 4,5 ore nell’adulto, e si prolunga notevolmente nel neonato
a causa dell’immaturità del suo sistema enzimatico. Vari fattori possono
ancora influenzare l’emivita della molecola, fra tutti lo stato di gravidanza.
Non va dimenticato inoltre che l’assunzione di alcool o farmaci quali contraccettivi,
cimetidina, disulfiram e allopurinolo tendono a prolungarla, mentre il fumo la
diminuisce poiché accelera il metabolismo epatico.
MECCANISMO
D’AZIONE
Gli effetti della caffeina
si manifestano con azione stimolante sul Sistema Nervoso Centrale, sull’apparato
cardiovascolare, sul rilascio delle catecolamine, sulla sintesi acida a
livello gastrico e sul metabolismo in generale.L’effetto della caffeina
è biologicamente mediato dall’aumento di AMP ciclico (adenosina
5’-monofosfato ciclico) con un’azione combinata su due livelli:
1) Aumento
della sintesi di AMPc:
la caffeina blocca l’inibitore dell’enzima adenilato-ciclasi
che trasforma ATP in AMPc
2) Rallentamento della degradazione di AMPc:
la caffeina inibisce l’enzima fosfodiesterasi, che trasforma AMPciclico
in AMP.
Le due reazioni si svolgono in sequenza secondo il
seguente shema:
Inoltre, la caffeina interferisce con l’azione di vari neurotrasmettitori quali serotonina, catecolamine, dopamina e alcuni aminoacidi.
Gli effetti psicotropi sono controversi poiché dosi minori di 500 mg manifestano sensazioni piacevoli con aumento dello stato di sveglia, di allerta, della capacità di concentrazione e miglioramento generico dell’efficienza fisica e mentale. Al contrario, dosi maggiori inducono agitazione, tremori, nausea, irrequietezza, performance discontinua e diuresi. Questi sono dovuti all’inibizione dei recettori benzodiazepinici da parte della sola caffeina dotata di un grado di lipofilia maggiore dei suoi metabolici e tale da permetterle di attraversare la barriera ematoencefalica più facilmente. Sulla muscolatura scheletrica la caffeina ha effetto contrattile, stimolando il rilascio di Ca2+ nel reticolo sarcoplasmatico per interazione con i recettori rianodici (Rg R1): per questa sua azione è usata nel protocollo europeo per la diagnosi dell’ipertemia maligna, grave sindrome farmacogenetica. La stimolazione di recettori analoghi (Rg R2) presenti a livello cardiaco, e la contemporanea inibizione della fosfodiesterasi, giustificano l’azione cardiostimolante, che ad alte dosi può causare però aritmie, tachicardia e fibrillazione ventricolare. Caffeina e paraxantina sono in grado influenzare la pressione arteriosa perché aumentano la resistenza vascolare sistemica mediante blocco dei recettori adenosinici con effetto contrattile; per ogni tazza di caffè, la pressione sistolica aumenta di 0.8 mmHg, mentre quella diastolica di 0.5 mmHg. La caffeina viene impiegata contro l’emicrania per facilitare l’assorbimento e potenziare l’attività dell’ergotamina, la quale induce vasocostrizione e riduzione del flusso sanguigno extracranico, coinvolgendo i ricettori serotoninergici. Ulteriore conseguenza del blocco delle azioni della adenosina è l’effetto antidolorifico. La caffeina è in grado di ridurre il rilascio di mediatori dolorifici indotto dall’adenosina a livello delle terminazioni nervose ed è capace di attivare le vie noradrenalinergiche, che svolgono azione soppressiva sul dolore, e di stimolare il sistema nervoso riducendo la componente affettiva nell’elaborazione della stimolazione. Infine la caffeina stimola la secrezione acida a livello gastrico per azione sui recettori H2: per questo motivo essa andrebbe evitata nei soggetti predisposti all’ulcera
TOSSICITA’
ACUTA E CRONICA
Per quanto concerne la tossicità acuta
si possono rilevare effetti letali a breve termine, a seguito di assunzioni comprese
tra 1 e 5 g di caffeina, che sono in grado di indurre concentrazioni plasmatiche
superiori a 80 m g/ml. Segni di intossicazione si manifestano con assunzioni
attorno ai 250 mg, mentre dosaggi più alti (650 mg), causano la sindrome
del "caffeinismo", caratterizzata da ansietà, irrequietezza e
disordini nel sonno molto simile allo stato ansioso da stress. Questo tipo di
manifestazioni ansiosa comincia a farsi notare già a concentrazioni plasmatiche
di 30 m g/ml a seguito di assunzioni di 1 g di caffeina.
L’assunzione
prolungata di quantità moderate di caffeina non ha evidenziato effetti
tossici. Inoltre, pazienti con ipertensione conclamata non hanno dichiarato
modificazioni collegabili al consumo di caffè, né sono stati confermati
maggiori rischi di infarto al miocardio. La caffeina non risulta influenzare il
decorso di gravidanze o il peso del nascituro, né induce malformazioni
genetiche. Manifestazioni di tossicità cronica possono manifestarsi
in caso di consumo protratto di caffè in associazione al fumo di sigaretta
o all’alcool, dal momento che questi ultimi modulano le caratteristiche farmacocinetiche
della caffeina. È pertanto difficile stabilire se gli effetti siano indotti
esclusivamente dalla base xantinica o da altri fattori. Non è stata finora
dimostrata alcuna relazione con l’insorgenza di tumori al pancreas e al colon,
ma anzi è stato ipotizzato un possibile effetto protettivo a livello intestinale.
Gli effetti della caffeina sulle vie urinali e sulla mammella sono controversi,
dal momento che i dati disponibili non dimostrano una chiara indicazione di casualità
con il tumore alla vescica o la malattia fibrocistica della mammella.
USO
COSMETICO
Se in campo farmaceutico la caffeina trova sempre meno
spazio per far posto a farmaci più efficaci e selettivi, in cosmesi trova
maggior utilizzo come coadiuvante per il trattamento della cellulite, date
le potenzialità lipolitiche e termogeniche. Per cellulite s’intende il
processo sclerotico del tessuto adiposo, che si differenzia dallo stato di obesità
localizzata, per la contemporanea presenza di noduli che alterano la struttura
del tessuto adiposo. L’inestetismo cellulitico è frequente soprattutto
nelle donne e si manifesta in distretti corporei ben definiti (cosce, glutei,
fianchi ecc.).
Il processo cellulitico
origina da alterazioni del microcircolo, con aumento della permeabilità
dei capillari situati nel derma e nel lipoderma, che lasciano fuoriuscire plasma
in eccesso negli interstizi cellulari generando edema. L’aggravante di questa
manifestazione è la concomitante perdita di efficacia del sistema drenante
linfatico.
La pressione che questa massa in eccesso esercita sulle cellule
ne altera le funzioni, con conseguente disorganizzazione delle strutture tessutali
fino alla rottura dell’adipocita. La fuoriuscita del contenuto cellulare o la
fusione con cellule vicine stimolano i processi difensivi con conseguente sintesi
di collagene fibroso che ingloba cellule adipose in una struttura organizzata
ed isolata: il nodulo cellulitico. Il micronodulo, così formato, va incontro
ad un processo involutivo causato dalla disidratazione e dal ridotto apporto di
substrati, con conseguente formazione di zone capsulate di dimensioni maggiori,
dette macronoduli.
Queste strutture compromettono in modo definitivo la diffusione
di nutrienti ed ossigeno, causando accumulo di prodotti catabolici e rifiuti cellulari
che portano a degenerazione o sclerosi e senescenza precoce del tessuto.
Le
cause eziologiche della cellulite sono molteplici. Sicuramente intervengono
fattori fisiologici quali il connettivo lasso, l’esistenza di mucopolisaccaridi
con tendenza a polimerizzare ed una profonda tendenza alla riduzione degli scambi
trofici, causa scatenante dell’intossicazione e dell’invecchiamento cellulare:
inoltre l’azione ormonale degli estrogeni, che inducono ritenzione idrica
e liposintesi, e dei corticosteroidi, che sembrano intervenire nell’eziopatogenesi
di questo processo predisponendo l’individuo alla cellulite. Sono coinvolti anche
fattori genetici.
MECCANISMO
DELL’AZIONE COSMETICA
Dal momento che la cellulite è legata
a problemi circolatori, con essudazione di liquidi negli interstizi, isolamento
degli adipociti con interruzione degli scambi metabolici, è opportuno intervenire
con un’azione drenante e disintossicante per districare le fibre collagene
che soffocano gli adipociti.
E’ a questo proposito che risulta utile l’applicazione
cosmetica della caffeina per la sua capacità di stimolare il drenaggio
e la rimozione dei liquidi stagnanti (funzione antiedematosa), anche se la principale
azione della molecola è quella di stimolare la mobilizzazione degli
acidi grassi nel tessuto adiposo. L’attività adipolitica e’ costante
e ciclica nel tessuto normale con ritmo di circa quindici giorni. Essa avviene
grazie all’intervento di ormoni quale il glucagone e l’ATCH che stimolano l’adenilato
ciclasi a trasformare l’ATP in AMPc, il quale con azione ormono-simile stimola,
tramite fosforilazione, l’attivazione della lipasi adipolitica. Questa permette
l’idrolisi dei trigliceridi in digliceridi, successivamente scissi in acidi grassi
e quindi rimossi.
La caffeina stimola l’attività dell’AMPc inibendo
la fosfodiesterasi, enzima che degrada l’AMPc ed impedisce la lipolisi. Per risolvere
l’inestetismo è opportuno integrare l’intervento cosmetico con opportuni
trattamenti estetici di tipo fisico (massaggi, bendaggi, elettroestetica, pneumoestetica)
allo scopo di aumentare l’efficacia dell’applicazione topica.
L’uso topico
della caffeina non comporta ad oggi controindicazioni, poiché l’assorbimento
transdermico non mostra concentrazioni ematiche tali da indurre effetti sistemici.
L’utilizzo topico della caffeina in ambito cosmetico è indicato per il
trattamento della cellulite e delle adiposità localizzate ed è
giustificato per gli effetti catabolici sugli adipociti come descritto in precedenza.
La cellulite non trova beneficio nell’intervento sistemico, perché
i principi attivi e la basi xantiniche assunte non raggiungono le formazioni nodulari
che sono isolate e collocate in distretti scarsamente irrorati.
La caffeina ha caratteristiche ideali per essere assorbita per applicazione
topica, grazie ad un buon "HLB" che non consente la diffusione attraverso
l’epidermide.
Diverse formulazioni sono state realizzate per migliorare ulteriormente
la cinetica di assorbimento inserendo altri principi attivi, tra i quali il
limonene, oppure ricorrendo all’inserimento della caffeina nei liposomi.
L’assorbimento è tale da raggiungere gli adipociti sui quali manifesta
le proprie funzioni cataboliche, sottraendosi all’immissione nel letto vasale,
non portando a picchi ematici tali da indurre effetti sistemici.
La caffeina
risulta perciò sicura per il trattamento cosmetico della liposclerosi.
E’ opportuno ricordare che l’assorbimento percutaneo di principi attivi è
influenzato dal grado di idratazione cutanea: la componente lipidica epidermica
costituisce il principale veicolo per la dissoluzione delle sostanze applicate.
Una sua modificazione o riduzione, comune nel processo di invecchiamento cutaneo,
può causare una diminuzione dell’assorbimento. Per questo motivo è
consigliabile assicurare la nutrizione e l’idratazione cutanea con prodotti contro
l’invecchiamento specifici per le zone da trattare, per migliorare l’efficacia
del trattamento estetico.
Un particolare recente utilizzo della caffeina
ne prevede l’uso come filtro solare per le sole radiazioni UVC, grazie
all’assorbimento in questa particolare zona dello spettro elettromagnetico.
Il potere schermante su queste radiazioni altamente energetiche, che a lungo andare
possono sviluppare neoplasie a carico dell’epidermide, costituisce un fattore
di attuale e rinnovato interesse per contrastare gli effetti dannosi causati dall’assotigliamento
dello strato di ozono.
Sempre nell’ottica di prevenzione dagli effetti dannosi
delle radiazioni ultraviolette, studi in vitro hanno evidenziato che la caffeina
per via orale svolge azioni protettive nei confronti dei raggi UVB riducendone
la potenzialità cancerogena.